“Solo e pensoso” cammino di fianco al naviglio. Le ragnatele disegnano brillanti merletti, ma solo se guardate contro il sole che, vanamente, coraggioso combatte contro la nebbia, altrimenti tendono a confondersi con la terra arata. Oltre la cortina dei rovi s’intravvede un drappello fantasma di balle di paglia in agguato. Ma tutto tende a svanire: i rami più in alto e le ultime foglie disperate abbarbicate tremule, l’acqua del canale che sfuma lontano in un cielo che s’immagina, ma che puoi solo indovinaer; tutto perde forma, le foglie cadute che come squame coprono la pista lungo l’argine, i funghi rugginosi che trasudano umore, anche i maestosi platani e le querce, perfino i colori si stemperano, perfino i rumori, i versi gutturali delle folaghe, il chiacchericcio dei passeri, lo sgraziato richiamo delle cornacchie, tutto attutisce e dissolve in un’atmosfera eterea e luminosa come un acquarello di Turner. Ed io avidamente aspiro quel pulviscolo purificatore allargando il petto.
Ma nel cranio si agita la buia tempesta dei pensieri angosciosi, che brulicano dentro in un groviglio inestricabile e velenoso come la capigliatura di Medusa. Invano tento di afferrarne il capo; riesco solo a recuperare qualche spezzone, rivelazioni da un roveto ardente. Quello che pensi, quello che dici, quel che vorresti non ha alcun significato agli occhi proprio di quelli che credevi naturalmente vicini. Quel che hai coltivato per tutta la vita, la storia, l’arte, la musica, il cinema è vuoto di senso. La tua vita, è vuota di senso. Tu, sei insignificante. Come lo zio matto, figura immancabile in ogni famiglia che si rispetti, qualche volta compatito, ignorato, per lo più nascosto per vergogna. Ogni scelta comportamentale è impossibile per lo stato di necessità in cui vivi. La ragione svapora nella nebbia; l’abisso non si vede, ma di sicuro è vicino.
La gamba mi duole e devo fermarmi a riposare. Mi volto indietro verso casa: forse mi sono allontanato troppo.