Semantica del nonno sessantottino
Sono un nonno che aveva 21 anni nel 1968, e quindi sono costituzionalmente antiautoritario (per la verità da sempre, ben prima del ‘68...). Aprivo ogni corso annuale con il comando agli studenti: “Non credete in niente e nessuno, principalmente in me: verificate tutto”. Figuriamoci se oggi posso essere un nonno che soffoca un nipote... Ma ci sono, e voglio esserci. Compatisco quelli che dicono che il tempo dedicato ai bambini vale per la “qualità”, non per la quantità: chi dice baggianate del genere o vuol tacitare la coscienza o non ha alcun affetto per i bambini.
Ricordo i miei nonni come figure pallide, inerti cariatidi che aspettavano la morte, e che ai nipoti più che dare pensavano a ricevere quel poco che si poteva allora, in definitiva un pensierino per Natale ed una certa riverenza. Noi nonni sessantottini siamo tutt’altra cosa. Per quanto più vecchi dei nostri nonni (i nostri figli fanno figli a trent’anni), siamo più attivi, vivaci, stimolanti, e soprattutto siamo sempre presenti al bisogno, e ben al di là del bisogno.
Abbiamo perso la riverenza, ma abbiamo acquistato in vicinanza. Non usiamo più il tabarro nero, e non stiamo rannicchiati vicino ad un fuoco. Abbiamo acquistato una nuova fiammante roulotte e ci prepariamo per lunghe vacanze di viaggi e passeggiate.
Ma il bilancio è a due sensi. I nipoti danno nuova linfa, coinvolgimento ed aspettativa anche a noi che altrimenti ci sederemmo stanchi. Per catturare qualche momento gioioso dell’infanzia dei nostri nipoti abbiamo comperato nuove macchine fotografiche, e videocamere, produciamo film e DVD, e tutto questo ci impegna, per non dire quando dobbiamo fare i maestri, gli intrattenitori o gli infermieri.
Viva la nonnità!
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