venerdì, gennaio 18, 2008

Je vois la vie en rose


Dopo un inseguimento durato da sempre son finalmente riuscito a vedere tutto quel che resta di Metropolis di Fritz Lang. Abituati come siamo oggi ai raffinatissimi effetti speciali le soluzioni adottate in quel film fanno sorridere per l’ingenuità; ma la forza evocativa originale è rimasta intatta, conseguenza della scelta registica di presentare la vicenda nella forma di un balletto stilizzato e simbolico, senza tempo e geografia. Ho compreso perfettamente i timori del ceto dirigente statunitense, che lo vietò temendo il pericolo di un incitamento alla rivoluzione. Ed ugualmente ho compreso perfettamente il parallelo (che assurdità...) entusiasmo di Hitler e Goebbles: in realtà il nazismo prese il film come un programma, poi del tutto realizzato, dallo schiavismo dei perdenti, al mito del paradiso promesso ai superuomini, alla catastrofe finale, da cui ripartire.
Le immagini del futuro che ci creiamo sono proprio quelle che orientano le nostre scelte presenti. La mia generazione è passata da un’idea terrorizzante del futuro ad un’altra ancora più terrorizzante. Prima la paura del comunismo: ricordo vivissimamente quando da bambino vedevo passare davanti alla casa dove vivevamo la sfilata degli uomini nella mia memoria tutti vestiti di scuro, che agitavano bandiere rosse ed urlavano inferociti: ”Abbasso Degaspari!”. Gli scontri di don Camillo e Peppone, a base di panche e tavoli che volavano non sono certo un’invenzione peregrina di Guareschi. E ricordo il prete che ammoniva. “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!”. E ricordo le sirene che accompagnavano l’arrivo delle jeep scoperte dei celerotti, con elmo e manganelli che menavano senza distinguere. E poi la paura della guerra atomica, la guerra fredda, il Vietnam, Cuba, A prova di errore che mi tanto mi impressionò col raccontare di una bomba atomica lanciata su New York dallo stesso presidente del Stati Uniti a bilanciare quella finita per errore su Mosca. E poi le stragi dell’Africa che usciva dal colonialismo, la fame come spettro futuro, allora con le immagini del Biafra, le dittature sudamericane, e poi l’incubo delle Brigate rosse, oggi il clima impazzito e nuovi Frankenstein dietro la porta. Ed invece niente si è verificato, mentre al contrario i progressi delle scienze sono stati fantastici, mangiamo molto più del necessario e possediamo molte più cose di quelle che effettivamente adoperiamo.
Ma i valori ai quali mi hanno educato i miei genitori erano molti: sincerità negli affetti, consapevolezza delle convinzioni, cultura come bene supremo, gusto del bello, nelle arti e nella natura, lavoro come fondamento della dignità e capacità creativa, filantropia, solidarietà, generosità, amicizia, altruismo... Oggi, a scorrere quel che si vede in televisione, i parametri della felicità umana si sono ridotti drasticamente a due: soldi e successo pubblico.
Stando così le cose, che futuro immaginare per i nostri nipoti? Probabilmente non riusciamo ad immaginarne uno sufficientemente torbido...